Ancona a Colori, Manifesto per il pensiero e l’azione di una comunità politica
Ci siamo!
La Comunitá Politica di Ancona a Colori prosegue il cammino e costruisce le sue basi. Metodo, strumenti e valori: di seguito proponiamo al lettore il manifesto politico di Ancona a Colori. Definisce le idee in cui ci riconosciamo, realizza la fiducia che su quelle idee nasca l'impegno di tante persone, noi insieme a voi, per il futuro della città. Aspettando i prossimi passi, buona lettura!
Una comunità politica.
Una Comunità nasce dove le persone si incontrano, si conoscono e si riconoscono.
Una Comunità politica nasce nel momento e nel posto in cui, alle persone, si aggiunge una visione comune di ciò che le circonda, per ideare un futuro e condividerne la costruzione.
Ancona a Colori nasce, e si dichiara, sin da subito come comunità politica, un insieme di tonalità diverse di una voce unica, nel territorio e per il territorio anconetano.
Il metodo.
Canonico, ma di questi tempi forse audace, è il metodo: incontro, ascolto e sforzo alla sintesi delle pluralità, per orientare l’agenda politica della città, formare e indirizzare la sua futura classe politica.
La sfida è sovvertire lo stereotipo per il quale la politica che crede nella forza delle idee isola chi se ne vuole fare portavoce: chi ha fiducia nella propria visione del futuro non teme, anzi ricerca, il confronto!
Identità e mediazione devono camminare insieme, per sperare che l’orizzonte che abbiamo delineato (fatto di punti programmatici ben precisi e già pubblicati qui) possa dirsi sempre più vicino, sempre più in linea con l’agenda politica della nostra città.
L’approccio.
Realista è l’approccio: l’idealismo e il pragmatismo riempiono l’uno il vuoto dell’altro. Esprimere politica a livello locale è quanto di più reale: non ammette distrazioni meramente ideologiche, ma non può ridursi a fredda burocrazia.
Lavorare per la costruzione di un’altra Ancona impone di avere valori robusti e salde competenze, per proporre azioni concrete. La politica come trasformazione guarda dritto all’orizzonte, mentre prepara minuziosamente gli ultimi dettagli, prima della partenza.
Gli strumenti.
Per una sfida di tale portata e un orizzonte di così ampio periodo, molti e diversi devono essere gli strumenti:
1. Divulgazione e approfondimenti in merito ai temi che riteniamo fondamentali, tramite Ancona Rivista a Colori, nella forma cartacea e web.
2. Organizzazione e promozione di incontri pubblici di approfondimento e dibattito con la cittadinanza.
3. “Check-up” periodici dell’agenda politica cittadina, tramite incontri con figure competenti dell’amministrazione, del governo della città e con gli stakeholder di riferimento.
4. Sensibilizzazione sull’importanza dei temi della nostra agenda tramite confronti con i giornalisti e le giornaliste della stampa locale.
5. Raccolta, su base continuativa e periodica, di feedback e contributi dalla cittadinanza.
I valori.
I valori della nostra comunità prendono forma dalle storie personali di ciascuno di noi, che si intrecciano soprattutto con la storia recente della nostra città. Siamo una Comunità variegata e trasversale: siamo persone, lavoratori, studenti e professioniste, che provengono dall’associazionismo, dal civismo, dalle esperienze locali dei partiti del centro-sinistra - sia essa sinistra di area riformista o radicale (come oggi piace dire) -, tutti cittadini e cittadine attivi che credono nella forza delle idee.
Siamo estranei, sia per impostazione concettuale sia per appartenenza generazionale, alle annose distinzioni e agli steccati di cui è fitto lo scacchiere politico-partitico del centrosinistra italiano, e ancor meno siamo interessati ad individuare una specifica collocazione della nostra comunità in quello scenario, volendo anzi contribuire a disegnarne uno nuovo. Le etichette non ci interessano e sappiamo di dover riconoscere un buon vino in altro modo.
Tutti noi crediamo nel progresso al servizio delle persone. Tutti noi ci riconosciamo e vogliamo lavorare con quei cittadini che si sentono liberi perché partecipi: “fare parte” della città non è solo un mezzo ma anche un fine a cui tendere.
Eppure, libertà è partecipazione solo se è di tutti e non solo di pochi: è inclusione politica, economica e (quindi) sociale. Una città che sembra “funzionare”, ma esclude, è una città che non sta svolgendo la sua funzione - e quindi è una città che “non funziona”. Una città realmente efficiente è una città che coinvolge, una città che promuove la partecipazione di tutte le persone e le risorse che la vivono, e la fanno vivere.
Per questo, Ancona a Colori aspira a una città che promuova il benessere intergenerazionale, tutelando e valorizzando esigenze e volontà di persone anziane e giovani, una città che dia più ragioni per restare che ragioni per partire, che investa nell’educazione dei minori, e nel senso civico dei più grandi, nella sostenibilità (ambientale, sociale e di governance) delle proprie politiche, che si opponga e combatta le diseguaglianze di ogni genere.
Siamo contadini di una vigna della cui crescita sentiamo la responsabilità.
Quella vigna è la nostra città, che vogliamo, appunto, coinvolgente ed inclusiva, attenta alla sostenibilità e alla cura dell’ambiente, all’innovazione e al digitale, impegnata nella battaglia alle spaccature sociali, attenta alle nuove forme di impresa e di lavoro, che dia stimolo alle attività commerciali, ai luoghi di contaminazione, alla messa a sistema dei rapporti con l’università e la ricerca, agli strumenti amministrativi di partecipazione e governance decentrata.
Di quella vigna, ora, coltiviamo il terreno e potiamo gli arbusti, affinché possa produrre un vino di elevata qualità, e vogliamo farlo per tempo, prima che alle future generazioni non restino che i rovi.
Le idee e la città
L’idea è ricercare una complessità che il dibattito politico ha perso da diversi anni. La cosa è tanto più significativa alla scala del locale, diventato una specie di parolaccia nel mondo globalizzato.
Negli anni Sessanta/Settanta del secolo passato, quelli del boom delle riviste militanti tipo i “Quaderni Piacentini” (ai ventenni sembrerà un titolo contemporaneo al “Monitore Cisalpino”), le riviste si facevano per creare un paradigma interpretativo, un modello di pensiero. La modalità era “tattica”, l’obiettivo interno. I lettori erano solo gli spettatori di un confronto tra intellettuali.
Combattendo con fastidiose bestioline che uscivano da tutte le parti, mi sono andato a prendere sugli scaffali alti della mia biblioteca questo genere di riviste e mi sono stupito di quanto potessero permettersi di essere complesse e spesso illeggibili.
Poi ci sono state le riviste culturali che avevano un pubblico, tipo “Alfabeta”, per citarne una, sorta di “luogo comune” e di incontro tra redattori e lettori dovuto alle ideologie. Un pubblico che nel frattempo affollava i dibattiti, le presentazioni dei libri, i teatri. Un mondo piuttosto omogeno per tipologia, modo di vestire, gusti. Quello della famosa “egemonia della Sinistra”, buonanima. Ma dietro questi strumenti operavano anche istituzioni, centri culturali, università militanti dalle quali i temi delle riviste esondavano creando un dialogo tra ricerca, cultura e politica. Erano gli anni in cui certi enti locali addirittura si sostituivano alle istituzioni di ricerca sostenendo i costi di indagini, studi, ecc. (oggi, a parte l’assenza delle risorse, verrebbero probabilmente multati dalla Corte dei Conti).
Quel mondo non c’è più, finito in soffitta come i miei pesciolini e le Clarks marrone consumate che eravamo costretti a portare tutti nonostante facessero fare pericolosissimi scivoloni sul bagnato.
Questa rivista non potrà avvalersi di quel retroterra e dovrà fare da sola, specie in un luogo certo difficile come Ancona, ma che ha già dato prova di smentire superficiali pessimismi. Facendo di necessità virtù, essa prova dunque a inaugurare uno scenario nuovo. Non so ancora se proprio 4.0 nel senso diffuso, ma comunque muovendosi in modo diverso nello scenario liquido della società contemporanea.
L’idea è ricercare una complessità che il dibattito politico ha perso da diversi anni, senza però rifare i collettivi chiusi; tentare un dialogo tra ricerca e politica che anche l’Università sembra aver perso. In giro, fatte le dovute eccezioni, si vedono titoli per lo più a scopo di carriera sempre più scialbi e pallidi, privati di idee originali per poter essere meglio accolti nelle maglie della nuova ricerca scientifica neoliberale, fatta di ricercatori che assomigliano sempre di più a dei frati.
Ma la sfida è anche più ambiziosa. Il nodo di A non sta infatti tanto nel laconico titolo, che lascia ampio margine alla fantasia, ma nei due punti: vi è sottesa una domanda impegnativa: adesso che vogliamo fare? La cosa è tanto più significativa alla scala del locale, diventato una specie di parolaccia nel mondo globalizzato. I due punti potrebbero allora stare per un dinamismo che si vorrebbe creare tra il fuori e il dentro, tra la città e la regione, tra il centro urbano e le frazioni, tra ricercatori e politica, tra chi collaborerà con dei testi e i lettori. Un dialogo che usa la carta per temi complessi ed altri mezzi per un altro genere di discussioni. 4.0 in questo senso. La rivista infatti non sarà solo queste pagine, ma anche un sito web, una newsletter, occasioni di incontri non secondari su quanto c’è di scritto, che daranno poi origine ad altri testi e via di seguito, secondo un modello circolare (questa espressione alla moda mi è sfuggita, scusate).
Questa è l’intenzione. Però il risultato dipenderà anche da chi, appunto, sta dall’altra parte. Se resteremo di qua dei due punti non sarà solo colpa della redazione; per cui datevi una mossa anche voi. Forse come editoriale del primo numero è un po’ aggressivo, ma i Social ci hanno abituato alle cagnare e ci tocca anche competere un po’ con i toni degli altri mezzi di comunicazione.
Questo editoriale è contenuto in A: numero 1 / dicembre 2021 - Illustrazione: Costanza Starrabba
Una riflessione in movimento sulla nostra città
Il difficile momento richiede una città capace di coinvolgere, rendere protagonisti e responsabilizzare le migliori energie presenti sul campo dell’innovazione sociale. Realtà e competenze spesso giovani, preparate e appassionate, che in parte si sono già fatte carico, sotto traccia, di alcune trasformazioni in atto, che amano il luogo dove vivono e sono pronte a mettersi in gioco.
Vogliamo riflettere, prendendoci tutto il tempo che richiede ogni buona riflessione, sulla città di Ancona. Senza timore della complessità, né tanto meno sentendoci portatori di verità. Sullo sfondo, oltre alla questione ecologica, l’impatto dirompente che la pandemia ha avuto ed avrà sul futuro dei centri urbani, sugli stili di vita, sulle abitudini e le priorità dei cittadini. Un impatto ad oggi ancora non immaginabile nella sua interezza, ma di cui si intravede la portata nel modo in cui ci spostiamo, ci incontriamo, abitiamo, lavoriamo e, infine, ci relazioniamo con la pubblica amministrazione.
Quattro i temi principali di A: La città che cura, La città che si rigenera, La città che partecipa, La città che respira. Traducono indirizzi, scelte, desideri e visione, riguardano la collettività e l’arte del governo della cosa pubblica. In questo numero ci occupiamo di rigenerazione urbana e di amministrazione condivisa sul modello dei patti di collaborazione; gli altri temi troveranno spazio nei prossimi. Alcune rubriche dedicate alla nostra città completano la lettura: La passeggiata, Ancona capoluogo, La storia del capitale sociale.
Altre ne scopriremo poi. Il disegno di A si completa con la Mappa dei tesori, una carta della città che verrà popolata man mano per rappresentare le organizzazioni ed i progetti di comunità presenti ad Ancona. Una traccia delle tante e preziose realtà e progetti che operano, spesso in modo spontaneo ed informale, a servizio della comunità o del proprio quartiere.
Ogni numero, infine - e per fortuna - sarà ingentilito e aggraziato dalle opere di un illustratore e di un fotografo. Siamo convinti che questo difficile momento richieda una città capace di coinvolgere, rendere protagonisti e responsabilizzare le migliori energie presenti sul campo dell’innovazione sociale. Aprire le porte agli agenti del cambiamento, agli organizzatori di comunità, ai mediatori sociali e alle reti solidali in grado di stabilire “un collegamento durevole e non episodico tra i luoghi dove si fa la società [.].. e quelli dove la si interpreta, .. possibilmente attingendo proprio da costoro per costruire una nuova leadership collettiva” (Cristina Tajani - Città prossime).
Realtà e competenze spesso giovani, preparate e appassionate, che in parte si sono già fatte carico, sotto traccia, di alcune trasformazioni in atto, che amano il luogo dove vivono e sono pronte a mettersi in gioco, ma che spesso vengono, incomprensibilmente e a torto, ritenute inadeguate o addirittura ostili.
Di una ulteriore convinzione ci facciamo portatori (e la crisi pandemica ce lo ha insegnato in modo chiaro): la società di servizi alle persone che conoscevamo va ridisegnata, sollecitando quelle risorse sociali disponibili in un’ottica di collaborazione e co-generazione. I cittadini non sono da considerarsi come clienti, portatori di bisogni cui dare una risposta, ma quanto più possibile protagonisti della soluzione dei problemi, in un contesto che li abilita e che è capace di cura e di prossimità.
A non è dunque solo una rivista. È un progetto culturale e politico, poiché si occupa di temi legati alla comunità dove viviamo.
Usare la carta è stata una scelta, ma A si svilupperà anche on line e promuoverà iniziative, incontri, momenti di condivisione e approfondimento. È un progetto del tutto aperto a nuovi stimoli, propositivo, senza pregiudizi né paracadute.
Non trovo ancora le parole per ringraziare i compagni di viaggio che hanno accettato di collaborare condividendo idee, suggerimenti e scelte. Un abbraccio particolare per questo primo numero va a Mara Polloni, Matteo Bilei e ai pilastri Matteo Belluti e Tommaso Sorichetti, nonché ai graditissimi ospiti Francesca Tilio, Costanza Starrabba, Davide Agazzi, Gregorio Arena, Roberto Danovaro e Pietro Marcolini. La visione grafica e comunicativa di RossodiGrana ha suggellato con la solita maestria e competenza questa piccola follia.
Un pensiero speciale però lo devo a Giorgio Mangani, l’editore che in un giorno di primavera, anziché accompagnarmi gentilmente alla porta - come ogni savio avrebbe fatto - ha preso un blocco di carta giallo a righe e ha iniziato a scrivere.
Questo editoriale è contenuto in A: numero 1 / dicembre 2021 - Foto: Francesca Tilio