Città che respira? Serve il coraggio della politica

La nostra intervista a Mirko Laurenti, curatore per Legambiente del rapporto Ecosistema Urbano che misura le performance ambientali dei capoluoghi di provincia italiani. Nel 2021 la fotografia di un Paese che fatica a stare al passo, non solo a causa della pandemia. E Ancona sprofonda in classifica…

Mirko Laurenti è il curatore, con Marina Trentin, dell’indagine di Legambiente Ecosistema Urbano, che ogni anno misura e racconta le performance ambientali dei capoluoghi di provincia italiani. L’ultimo rapporto, pubblicato nel novembre scorso, raccoglie i dati del 2020, un anno contrassegnato dall’emergenza Covid. Fotografa un Paese fermo dal punto di vista della vivibilità ambientale in ambito urbano, che addirittura regredisce sotto molti aspetti. Ma, come vedremo, non è solo colpa del Covid, non è tutta colpa del Covid.
Da 29 anni Ecosistema Urbano realizza una classifica basata su 18 parametri che valutano le performance delle varie città capoluogo del Paese in fatto di qualità dell’aria, delle acque, raccolta dei rifiuti, trasporti e mobilità, spazio verde urbano, efficientamento energetico, politiche ambientali in genere.
L’enorme lavoro portato avanti da Legambiente ha innescato negli anni un cambiamento profondo nel modo di misurare gli indicatori ambientali nelle città, è stato in grado di far leva sull’opinione pubblica e in molti casi di orientare le scelte della politica.
In un quadro generale assai critico, ha fatto rumore dalle nostre parti il crollo in classifica di Ancona, capace di perdere ben 29 posizioni rispetto all’anno precedente, passando dal 44esimo posto al 73esimo. Troppe auto in circolazione, troppe poche le piste ciclabili e le zone pedonali, troppi i morti lungo le nostre strade: queste le principali criticità rilevate, che purtroppo sono croniche. Pesano anche alcuni errori fatti nella comunicazioni dei dati, qualche mancanza nelle misurazioni, ma insomma è evidente che la nostra città avrebbe assoluto bisogno di rinverdire (è proprio il caso di dirlo) le politiche in tema di ambiente. E tanto avrebbe da fare anche in quanto alla capacità di comunicare con i cittadini. Saper trasmettere l’importanza di politiche virtuose e scelte di ampia prospettiva, incoraggiare comportamenti responsabili da parte dei cittadini, intercettare e sensibilizzare anche le fasce di popolazione più difficili da raggiungere, che poi quasi sempre sono quelle che hanno i maggiori problemi.
Delle azioni da mettere in campo, delle modalità e del coraggio necessario, abbiamo parlato con Mirko Laurenti.

Mirko Laurenti, fa parte dell'Ufficio Scientifico di Legambiente ed è responsabile del rapporto Ecosistema Urbano dell'associazione ambientalista sin dal 2002.

Ciao Mirko, che quadro generale emerge dall’ultimo rapporto Ecosistema Urbano? Come sta l’Italia?

«Il report pubblicato a fine 2021 si basa su dati rilevati nel 2020, un anno particolare a causa della pandemia. Ne consegue che la foto scattata è abbastanza impietosa, ritrae ad esempio un Paese che ha abbandonato il trasporto pubblico. Attenzione però a dare la colpa solo alla pandemia, perchè se si leggono bene i numeri ci si accorge che non dappertutto la situazione è la medesima. Cito due casi, quelli di Milano e di Palermo, in cui pur nel disastro causato dal Covid, il settore dei trasporti pubblici ha tenuto botta e non è crollato come in quasi tutte le altre città d’Italia. Milano, lo sappiamo, è un caso a parte nella geografia del nostro Paese, è la città più europea anche dal punto di vista della mobilità. Già da diversi anni ha intrapreso un percorso che l’ha portata ad aumentare lo spazio destinato a pedoni e ciclisti, e contestualmente a limitare la circolazione di mezzi privati nelle aree del centro. Azioni che rispondono ad un preciso indirizzo politico. E queste azioni hanno fatto sì che anche nel momento in cui la circolazione dei mezzi pubblici era vietata a causa della pandemia, i cittadini abbiano reagito non riprendendo l’auto, ma optando ad esempio per le bici e i monopattini, visto che già era disponibile un efficiente servizio di sharing e le persone erano abituate ad utilizzarlo».

L’uso del monopattino e delle piattaforme di sharing è aumentato proprio durante la pandemia.

«Ecco, se possiamo trovare un lato positivo sulla mobilità di questo periodo è proprio questo. Certo solo per alcune città. Per il resto vediamo purtroppo un Paese statico, un Paese in cui l’inquinamento atmosferico fa rilevare ancora indici troppo alti».

Citavi anche il caso di Palermo.

«Sì, ovviamente una città che non ha nulla a che vedere con Milano, e che pure negli ultimi tempi ha investito sulla mobilità alternativa. E questi investimenti hanno fatto sì che durante la pandemia gli indici relativi al trasporto pubblico, certo ancora non esaltanti, non sono sprofondati, come invece purtroppo successo da altre parti».

Possiamo dire in generale che il Covid ha aggravato ancora di più una situazione già critica di suo.

«Sì, diciamo che il Covid ha accelerato le criticità già esistenti. Poi ci sono state città che hanno risposto meglio, come appunto Milano, oppure Trento, Reggio Emilia e Mantova, che infatti sono sul “podio” della classifica di Ecosistema Urbano. Altre città purtroppo sono state totalmente affossate dalla situazione d’emergenza. Palermo, nonostante quanto detto sopra, ha per altri versi numeri poco edificanti. O la stessa Torino, in cui gli indici di inquinamento sono allarmanti».

Eppure siamo stati a lungo in casa, in smart working, con le auto ferme in garage.

«Già, peccato che appena siamo usciti di casa abbiamo recuperato in fretta le cattive abitudini di prima, annullando in poco tempo gli effetti benefici del lockdown».

Le grandi città in Italia sono poche e rappresentano un’eccezione. Tra queste Roma è un caso ancor più particolare per tanti motivi. La maggior parte dei capoluoghi di provincia italiani fanno invece i conti con dimensioni più contenute, e tra queste vi è Ancona.

«Vero, la spina dorsale del nostro Paese è rappresentata da città medio piccole, favorite ad esempio da un carico di abitanti modesto, da un traffico ridotto, da minore inquinamento. Questo però dovrebbe spingerle a fare di più e meglio in tema di cura dell’ambiente, ad agire in modo più deciso approfittando delle situazioni favorevoli. Invece, a parte rare eccezioni, regna ancora un certo immobilismo».

Ecco, veniamo ad Ancona. Abbiamo visto che le nostre performance sono peggiorate rispetto al passato. Ciò si deve in parte ad una mancata (o errata) comunicazione dei dati che ci fa sembrare più “pecore nere” di quanto in realtà siamo, e in parte però a criticità effettive, in particolare sul tema della mobilità.

«Ancona paga un carico non secondario derivante dall’attività di un grande porto inglobato nel centro urbano, ma non c’è dubbio che potrebbe e dovrebbe fare di più. E già da parecchio tempo».

Se si guarda agli altri capoluoghi marchigiani, pesa il confronto con Pesaro, che invece viene citata come città virtuosa anche dalla stessa Legambiente. Però ad Ancona si usa spesso dire “qui non siamo a Pesaro” proprio per indicare alcune differenze sostanziali, specie nella conformazione del territorio e dell’urbanizzazione.

«Potrei citarvi però il caso di Macerata, cittadina non certo pianeggiante, in cui si nota negli ultimi tempi un’inversione di tendenza su aspetti importanti, come nuove zone ciclopedonali, maggiori limitazioni al traffico, investimenti in piantumazione e aree verdi. Per quanto invece riguarda Pesaro, certo è favorita da una posizione felice, ma non c’è dubbio che negli ultimi 12 anni le scelte strategiche di amministratori capaci e avveduti l’hanno portata ad essere presa d’esempio non solo nelle Marche, ma in Italia e all’estero. Pensiamo alla Bicipolitana, o alla vasta pedonalizzazione del centro storico, o al premio ricevuto da Legambiente per l’efficientamento energetico di una scuola».

Anche ad Ancona c’è una scuola totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico. Ecco, non è che poi a volte pesa soprattutto la capacità e la bravura di sapersi raccontare?

«Può darsi. Pesaro ha certamente saputo comunicare molto bene le sue scelte anche se resta il fatto che le cose non le ha solo raccontate, le ha fatte per davvero e bene. Altri invece, proprio per paura di pagare pegno elettorale, rinunciano alle scelte più coraggiose e di prospettiva».

Il tema del coraggio della politica si lega necessariamente a quello del coinvolgimento dei cittadini. Tra i fattori evidenziati da Legambiente in tema di miglioramento energetico c’è la necessità di coinvolgere gli stakeholder e incentivare il dibattito pubblico. Vedi progressi da questo punto di vista negli ultimi anni?

«L’aspetto che è migliorato di più negli anni è proprio quello dell’attenzione che chi amministra rivolge alle istanze dei cittadini. Certo, in molti casi, è la legge a rendere obbligatorio tale ascolto, pensiamo ad esempio ai PUMS. Ciò significa che anche il legislatore centrale ormai è sempre più orientato verso modelli di partecipazione diffusa e di qualità».

Alcuni esempi?

«Penso al Grab di Roma, il Grande raccordo anulare delle biciclette. Un progetto lanciato a suo tempo da cittadini e associazioni, tra cui Legambiente, poi finanziato dal Ministero, e che ora sta per diventare realtà. E sarà un grande esempio di partecipazione, perché i cittadini sono stati coinvolti nella fase di progettazione e hanno apportato modifiche che hanno reso il tracciato senz’altro più fruibile e utile. Questo secondo me è un esempio di come si dovrebbero fare le cose. Un altro è la Tramvia di Firenze. Poi è evidente che non sempre la partecipazione viene incoraggiata, perchè potrebbe non giovare alla politica. Noto però che un po’ ovunque le cose stanno migliorando, sulla scia di quanto chiesto in primis da Legambiente, ma non solo. Negli anni hanno preso vita comitati di cittadini ottimamente organizzati, che si avvalgono della collaborazione di professionisti, in grado di sviluppare anche ottimi progetti di Citizen Science».

Va dato atto a Legambiente di essere riuscita negli anni a incentivare i Comuni a misurarsi e a raccontarsi. Questo è, tra gli altri, un grande merito. In Ecosistema Urbano potrebbero trovare posto indicatori che misurano il coinvolgimento dei cittadini e i progressi in fatto di Citizen Science, ovvero la capacità di stimolare cittadini a effettuare ricerche scientifiche e monitoraggi sulle città che abitano?

«Per quanto riguarda il tema della partecipazione, un indice esisteva poi lo abbiamo tolto perché vedevamo che più o meno i parametri erano rispettati ovunque, ma poi era difficile stabilire oggettivamente chi lo faceva bene e chi lo sbandierava soltanto. Stessa difficoltà più o meno potrebbe derivare dalla misurazione dei progetti di Citizen Science attivati in una determinata città. Ma chiaramente il tema della partecipazione è tra quelli che ci sta più a cuore e che monitoriamo sempre con attenzione anche attraverso strumenti come Ecosistema Urbano»

Città dei 15 minuti: secondo te è un miraggio, uno slogan buono per le campagne elettorali, o un orizzonte reale?

«Certamente un obiettivo alla portata. Se ci sta provando e riuscendo Milano, con tutte le difficoltà del caso, vuol dire che per le città più piccole e meno problematiche è ancora più fattibile. Ciò che Legambiente ha sempre rimarcato è che le città italiane non sono fatte per le auto. I nostri centri storici sono stati pensati e costruiti per un traffico di pedoni e cavalli, non certo per farci entrare 4mila macchine in un’ora. Quindi se c’è la volontà, è certamente possibile tornare alle città dei nostri nonni. Un’auto la si usa in media per fare tratte da 5-7 chilometri. Una distanza esigua, che può benissimo essere coperta con mezzi più virtuosi: a piedi, in bici, in autobus. Milano ci sta provando davvero, Gualtieri, il nuovo sindaco di Roma, in campagna elettorale ha fatto dichiarazioni impegnative in tal senso».

In campagna elettorale vale tutto!

«Certo, però è evidente che il tema è entrato ormai stabilmente nelle agende politiche, sui media se ne parla, le giovani generazioni hanno la questione molto a cuore e prima o poi bisognerà farci i conti. Secondo me sono tutti segnali molto importanti».

Anche perché ora forse il PNRR porterà nelle casse dei comuni soldi che negli ultimi anni non c’erano più.

«Esatto. A condizione che sia il PNRR dei sindaci e non solo del governo centrale. Non può essere Roma a dire ad esempio “dovete comprare più autobus”, perché sono i sindaci di Ancona, Como e Lecce a sapere se c’è bisogno di autobus o di altro».

A tal proposito, anche nei Comuni ci sarebbe bisogno di competenze tecniche e amministrative che spesso mancano.

«Vero e in questo caso i Ministeri dovrebbero migliorare nella comunicazione e nell’assistenza. Mettere effettivamente i territori nelle condizioni di decidere come spendere al meglio i soldi»

Poi serve la politica e il coraggio dei sindaci.

«Servono sindaci che non cerchino alibi e un governo che non fornisca alibi».

 

 

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Foto di copertina: uno scorcio del quartiere Archi di Francesca Bianchelli


«Ho sognato la Piazza del Teatro sgombra dalle auto e centro vitale della città»

E se Piazza della Repubblica tornasse ad essere, come un tempo, centro nevralgico e crocevia del centro cittadino? Una provocazione, o forse un sogno ad occhi aperti di Andrea David, artigiano e proprietario di una storica bottega in Via Degli Orefici.

C’è una celebre performance di Gino De Dominicis in cui l’artista anconetano viene filmato mentre lancia nel fiume una serie di pietre cercando di generare nell'acqua quadrati al posto dei classici cerchi. Un’impresa impossibile, che mi torna in mente quando penso a quanto mi piacerebbe far tornare Piazza della Repubblica ai fasti dei tempi in cui si chiamava Piazza del Teatro, e rappresentava il centro nevralgico della città.

La ripavimentazione di via della Loggia e la sua pur breve pedonalizzazione hanno fatto riemergere nella mia memoria antiche stampe e vecchie foto di Piazza del Teatro. Erano piene di gente, ed era evidente che il cuore, il crocevia della città, era questa Piazza. 

Sgombro subito il campo dall’equivoco: non propongo di restituire l’antico nome di Piazza del Teatro a Piazza della Repubblica, anche se un “già Piazza del Teatro” nella targa non mi dispiacerebbe, perché avrebbe l’effetto di accendere una scintilla di fantasia in molte persone.
Piazza della Repubblica è l’unica in città da cui si vede il mare e le navi che transitano a pochi metri dal varco di accesso inequivocabilmente trasmettono l’immagine di una città portuale.
E’ da qui che decidi se andare a passeggiare verso la Lanterna Rossa, la Fontana dei Due Soli e tutto il Porto Antico, o alla Mole e al Mandracchio, passando per Via XXIX Settembre o per sottomare; o se viceversa concederti una vasca lungo Corso Garibaldi, o piuttosto risalire Corso Mazzini e da lì buttarti in Piazza del Plebiscito “già del Papa”; sempre da qui puoi scegliere di salire verso il Duomo e l’area archeologica percorrendo via della Loggia con le sue potenzialità commerciali oggi inespresse.
Piazza del Teatro dovrebbe essere per natura il punto centrale, il nucleo, il cuore da dove partono e ritornano gli impulsi vitali, e invece oggi, come ormai da decine di anni, è un brutto e mal funzionante parcheggio, in un mix di abusivo e pagamento, una piazzola per taxi con timidi tentativi di socialità, che si scorgono nella scalinata delle Muse e nei pochi tavolinetti di due bar.
Mi va di fantasticare, non voglio entrare in polemica con scelte fatte o in divenire, mi limito a riformulare un assunto nel tentativo di stimolare un’impresa impossibile ma plausibile.
Chiuderei la piazza al transito alle auto e dunque anche al parcheggio.
Immaginerei delle aree sosta in zona Archi, Molo Sud, Mandracchio e nella banchina Nazario Sauro durante le ore notturne e i giorni liberi dall’attracco navi.
Ripenserei il trasporto pubblico in questo modo: il gestore può essere municipale e privato, disponibile a sperimentare e applicare forme versatili di orario e di mezzi, chi scende in “città” da Posatora o Tavernelle con un mezzo pubblico deve poter tornare con taxi collettivi o mezzi più piccoli e agili del bus in orari serali.
I taxi li sposterei in Largo Sacramento di fronte all’ingresso della chiesa.
Via i paletti, l’orrenda pensilina e lo spartitraffico, distribuirei su Piazza Kennedy supporti tecnologici in grado di agevolare la fruizione dei trasporti.
Piazza del Teatro finalmente sgombra dalle auto, con una ZTL ben regolata che non penalizzi i residenti, ma che escluda tutte le rendite di posizione e piccoli privilegi incrostati nell’arco di decenni, diventerebbe, con il vicino piccolo Piazzale della Dogana, il luogo ideale per lo sharing di bici elettriche e altri mezzi, comprese piccole auto.
Le più belle chiese con notevoli opere d’arte, la Pinacoteca, il Museo Archeologico, il Duomo, il Lazzaretto con le sue proposte culturali, il Museo Omero: tutti monumenti vicini e facilmente raggiungibili dalla Piazza, che non a caso ospita il Teatro delle Muse.
Servizi, proposte culturali, target turistici calibrati per una città che sa affascinare per la sua peculiarità, insieme ad una rinnovata vitalità commerciale: elementi necessari per uno sviluppo che fa di Piazza del Teatro il perno imprescindibile.
L’interazione tra commercio, mobilità sostenibile, spazio pubblico e cultura crea una innovativa offerta, che non va soltanto a colmare una domanda, ma che è in grado di stimolarne e crearne una nuova.
L’urbanistica è determinante per le attività produttive e commerciali, le città italiane sono un unicum nel panorama mondiale.
Troppi stereotipi negativi hanno accompagnato il commercio e la bottega, che per mia esperienza significano creatività, scambio, fantasia, civiltà, naturale controllo del territorio e presidio di legalità.
Il mio fantasticare è forse sottilmente provocatorio. Sull’onda dei ricordi evocati da una vecchia stampa, ho sognato persone vestite con abiti di oggi. E mi è parso possibile, come il formarsi di tanti quadrati attorno a un sasso lanciato nello stagno.


Alzare il livello, abbassare i toni

Con questo articolo di Gabriele Battistoni diamo il via ad una serie di interventi che entrano nel vivo delle questioni aperte e dibattute in città. E ci fa particolarmente piacere che si cominci con un pezzo che parla di mobilità lenta e che si cominci da Gabriele, che anche attraverso il suo lavoro si è sempre impegnato al massimo per sensibilizzare la città su questi temi. Ma soprattutto ci fa piacere iniziare con un articolo che parla della necessità di migliorare la qualità del dibattito.

 

Ieri il giornale titolava in prima pagina “VIA XXIX SETTEMBRE IN RIVOLTA”. Il sottotitolo spiegava che la colpa è del progetto di pista ciclabile che porterà via 41 posti auto in zona Archi. Gli operatori commerciali parlano di “Disastro”. All’interno del giornale si continua su questo tenore: “Ciclabile: che sciagura”, “Rabbia degli operatori”, “tragedia per tutto il centro” e via di questo passo. Addirittura i cittadini che usano il monopattino (mezzo ecologico di cui il governo ha incentivato l’acquisto fino all’anno scorso) vengono apostrofati come “fan”, che per carità non è un insulto ma lascia intendere che chi va in monopattino lo fa per moda, per vezzo, quando invece qui ad usarlo sono in prevalenza gli operai che abitano al Piano e lavorano al Porto. E che grazie al monopattino si spostano con pochi soldi e senza inquinare, senza occupare parcheggi, senza intasare il traffico.

Non è la prima volta che i giornali si esprimono in questi termini a proposito delle piste ciclabili e in generale dei progetti a sostegno della mobilità dolce. Anzi direi che siamo alle solite. Il ritornello è più o meno sempre lo stesso: “Soldi buttati via”, “Dove sono tutti questi ciclisti?”, “Ancona non è Pesaro”, “Prima o poi ci scappa il morto!”.

Mi dispiace ma non sono questi i modi, non sono questi i toni.

Se il comune sentire della gente è contrario alle piste ciclabili, la stampa sbaglia nell’alimentarlo senza opporre una corretta e completa informazione, e nell’amplificare certi interessi particolari che si confondono con quelli generali. Anch’io sono titolare di un esercizio commerciale, comprendo i timori e le preoccupazioni di baristi, tabaccai e commercianti, ma non mi sta bene buttare nello stesso calderone i disagi patiti per un cantiere infinito e le critiche alle piste ciclabili. Mi chiedo se i commercianti della zona siano stati ascoltati e adeguatamente informati in fase di progettazione. Ma mi chiedo pure perchè sui giornali non viene dato lo stesso risalto ad altri operatori che invece sono favorevoli alle piste ciclabili, o che magari in altre zone hanno visto aumentare gli incassi grazie ad una via che è stata pedonalizzata. E guardate che ce ne sono. Anche ad Ancona.

Mi chiedo perchè non si dia ampio risalto e titoloni a studiosi ed esperti che possono spiegarci bene come stanno le cose. Probabilmente ci direbbero che i soldi spesi per incentivare le bici e i monopattini non sono buttati via, ma costituiscono un prezioso investimento anche economico. Gli sprechi sono altri. Ci direbbero che il morto c’è già scappato, anzi ci scappa regolarmente proprio perchè ADESSO le strade sono insicure e inadeguate. Ci direbbero che sì, bella scoperta, Ancona non è Pesaro e non è Ferrara, ma anche da noi ci sono interi quartieri pianeggianti, vaste zone densamente abitate che trarrebbero grandi benefici dalla presenza di reti ciclabili, zone 30, traffico limitato, spazi sicuri in cui le persone sono libere di camminare e i bambini di giocare. 

Senza contare che oggi con le bici a pedalata assistita e una seria piattaforma di bike sharing anche le salite di Ancona non sarebbero più un problema insormontabile. E senza contare, già che ci siamo, che quando si guarda a città che hanno affrontato in maniera intelligente i problemi col traffico, non si pensa a Pesaro, ma semmai a Lisbona, che proprio pianeggiante non è.

Si legge sul giornale: “Bene la transizione ecologica, ma fatta con intelligenza”. Che meglio spiegato più sotto significa: lasciamo perdere le piste ciclabili, pensiamo a fare più parcheggi.

Bene, peccato che come ha sottolineato l’assessora Ida Simonella, spesso i parcheggi già ci sono, ad esempio quello coperto degli Archi consente la sosta a 2 euro per l’intera giornata ma è poco utilizzato.

Mi conforta, a tal proposito, che stavolta il Comune per voce della Simonella sia uscito allo scoperto con un post su Facebook doveroso, che abbia parlato, che abbia deciso di metterci la faccia e indicare la via che l’ammninistrazione vuole percorrere.

Poi se ne può parlare, anzi se ne deve parlare. Il confronto, la partecipazione e il coinvolgimento di tutti sono sempre la strada da privilegiare. Io stesso ho sollevato dei dubbi sull’impostazione della pista ciclabile provvisoria agli Archi, che ha una miriade di difetti. Sono il primo a dire che non basta pitturare di rosso una porzione di strada per dire di aver messo in sicurezza i ciclisti. Sono convinto che “più piste ciclabili” non equivale a “meno parcheggi” perchè quella di mettere in contrapposizione le auto e le bici è una cantilena che non si può più sentire. Ad Ancona c’è un problema di traffico, c’è un problema di parcheggi e c’è anche il problema di tutelare gli utenti della strada deboli e non inquinanti. Bene, serve un piano che affronti tutte queste cose nell’insieme. E possibilmente servirebbe affidare i progetti a dei veri mobility manager e a chi ha reali competenze per farlo.

Soprattutto bisogna abbassare i toni, che le parole sono importanti, specie quando sono strillate sui giornali. Altrimenti sarà una tragedia, un disastro, una sciagura.

 


Foto: Sebastian Herrmann via Unsplash